Si ricorda come gli iscritti alla Gestione Artigiani e Commercianti che rientrano per fatturato annuo nel regime forfettario, abbiano diritto a versare i contributi ridotti del 35% della contribuzione dovuta. Per rientrare nel beneficio bisogna avere tutte le caratteristiche previste per il regime forfettario, ossia il regime di vantaggio per le persone fisiche che esercitano un’attività d’impresa, arte o professione, incluse le imprese familiari, che permette di applicare un’imposta sostitutiva unica (al 15%, oppure al 5% per i primi 5 anni di attività) e non applicare l’IVA in fattura, con tutta una serie di obblighi di natura fiscale e contabile. Il forfettario è il regime fiscale naturale per coloro che fatturano meno di 65mila euro l’anno, dunque non richiede esercizio di una opzione. Per poter usufruire dell’agevolazione sui contributi bisogna comunque non solo rientrare nel regime forfettario ma anche svolgere un’attività d’impresa che risulti soggetta obbligatoriamente all’iscrizione presso la Gestione Artigiani e Commercianti, mentre i forfettari obbligati all’iscrizione presso una Cassa previdenziale professionale o alla Gestione Separata INPS non possono usufruire di questa riduzione del 35% dei contributi. Il regime contributivo agevolato è opzionale ed il contribuente deve presentare specifica domanda telematica, accedendo al “Cassetto Previdenziale Artigiani e Commercianti” dal portale INPS e compilando l’apposito modulo già predisposto nella propria pagina personale, selezionando dal menu a tendina, la voce “Regime agevolato, come da art. 1, comma 111 ss della legge n. 208/2015”. La domanda di riduzione contributi INPS deve essere effettuata di norma ad inizio anno ed entro la fine di febbraio, altrimenti l’anno di riduzione contributiva slitterà a quello in cui verrà fatta la comunicazione. I soggetti che invece si trovano a inizio l’attività e intendono accedere alla riduzione dei contributi INPS, devono presentare domanda “con la massima tempestività rispetto alla ricezione del provvedimento d’iscrizione” alla Gestione Artigiani e Commercianti, per consentire all’Istituto di gestire correttamente la predisposizione della tariffazione annuale. Devono presentare inoltre apposita domanda di accesso al regime contributivo agevolato anche coloro che vi aderiscono per la prima volta nell’anno in corso. Non è necessario presentare domanda ogni anno ed il regime, che consiste nella riduzione contributiva del 35%, si applica ai soggetti già beneficiari del regime agevolato fiscale e previdenziale ove permangano i requisiti di agevolazione, purché non abbiano prodotto espressa rinuncia: dunque una volta presentata domanda, l’opzione si rinnova automaticamente gli anni successivi, salvo esplicita rinuncia. Lo sconto dei versamenti contributivi inferiori rispetto a quelli previsti ordinariamente comporta sicuramente un risparmio, ma per valutarne la convenienza bisogna tenere conto del fatto che l’anzianità contributiva sarà ridotta, perché calcolata da parte della Gestione Artigiani e Commercianti in base ai contributi effettivamente versati complessivamente.

 

La Segreteria

La prestigiosa studiosa dell’Università di Trieste affronta alcune questioni relative alla proposta di legge 1063 in discussione alla Camera dei Deputati di Paolo M. Storani – Sono soltanto venticinque anni che Patrizia Ziviz, con atteggiamento improntato alla modestia tipico dei grandi, studia l’argomento del danno non patrimoniale e rappresenta per noi tutti una stella polare.
Con questo inedito, raffinato ed analitico lavoro la Prof.ssa Ziviz apporta un significativo contributo al dibattito sulla proposta di legge C. 1063 che porta il nome del primo firmatario, On.le Alfonso Bonafede, esponente di spicco nel settore giustizia del MoVimento 5 Stelle che ha svolto un intervento molto applaudito dal palco della kermesse tenutasi al Foro Italico di Palermo nei giorni del 24 e del 25 settembre 2016.
LIA Law In Action Vi augura buona lettura.

LA RIFORMA DELL’ART. 2059 C.C.

(Osservazioni a margine della proposta di legge C. 1063 “Disposizioni concernenti la determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale“)

di Patrizia Ziviz

1. La definizione delle regole che governano il risarcimento del danno non patrimoniale è al centro di un annoso dibattito, destinato a culminare periodicamente nell’emanazione – da parte della Corte costituzionale e della Cassazione – di sentenze che segnano le tappe evolutive del sistema. Margini notevoli di indeterminatezza e di ambiguità continuano comunque a sopravvivere ancor’oggi, visto che l’intervento delle Sezioni Unite del novembre 2008 non è riuscito a tratteggiare un assetto definitivo per le regole di ristoro dei pregiudizi non economici. E’ con questo scopo, allora, che qualche tempo fa è stata presentata una proposta di legge, intitolata “Disposizioni concernenti la determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale“, attualmente in discussione alla Camera (C. 1063. Bonafede): progetto che si propone l’impegnativo compito di riformare l’art. 2059 c.c.

L’ambizioso obiettivo perseguito tramite tale progetto di novellazione è quello di sostituire alla sintetica disposizione attualmente prevista da quella norma – secondo cui “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge” – una serie più articolata di precetti, volti a rispondere ai quesiti fondamentali che si pongono in questa materia. Vale a dire: a) che cos’è il danno non patrimoniale; b) in quali ipotesi va risarcito un simile pregiudizio; c) come bisogna procedere per determinare la liquidazione di un simile danno.

Alle prime due domande punta a rispondere il nuovo testo dell’art. 2059, mentre la questione della liquidazione viene affrontata dall’art. 2059 bis per quanto concerne il danno non patrimoniale derivante da lesione del diritto alla salute e dall’art. 2059 ter per quel che riguarda le compromissioni non economiche scaturenti dalla violazione di altri diritti.

A corredo di tale intervento di riforma del codice civile è prevista, altresì, un’integrazione delle relative norme di attuazione, volta all’inserimento in tale ambito delle tabelle di valutazione del danno non patrimoniale.

L’intento che si persegue tramite un simile intervento appare senz’altro meritorio, considerato come i grandi margini di incertezza che tuttora regnano in tale campo siano fonte di soluzioni giurisprudenziali ondivaghe e difficilmente prevedibili.

Nel contempo, si tratta di osservare che il Codice civile presenta – per quanto concerne la disciplina del fatto illecito – un tessuto frutto di equilibri assai delicati, nel toccare il quale ogni innovazione va portata con meditata attenzione.

Da questo punto di vista, occorre dire che la proposta di riforma mira a suggellare a livello normativo i traguardi raggiunti dalla giurisprudenza nel progressivo percorso di ampliamento del ristoro del danno non patrimoniale.

Non si tratta, però, di un intervento impeccabile e cristallino. Vari profili critici emergono, infatti, nell’attuale articolato oggetto di discussione presso la Camera.

2. Il nuovo testo dell’art. 2059 recita al primo comma: “Il danno non patrimoniale è risarcibile qualora il fatto illecito abbia leso interessi o valori della persona costituzionalmente tutelati“. Viene, pertanto, introdotta una regola selettiva formulata in maniera diversa rispetto a quella attuale, che si limita ad operare un rinvio ai casi determinati dalla legge.

Un primo interrogativo generale riguarda la scelta di confermare l’applicazione di un regime selettivo, constatato che differente appare – in seno all’istituto aquiliano – la rilevanza riconosciuta ai danni non patrimoniali rispetto a quelli patrimoniali.

Mentre, con riguardo a questi ultimi, restano esclusi dalla tutela soltanto quei pregiudizi i quali (benché conseguenti a una lesione ingiusta) siano tali da assumere carattere illecito o immorale, per i danni non patrimoniali l’art. 2059 c.c. – nella nuova formulazione – stabilisce la necessità di accertare la rilevanza costituzionale dell’interesse leso.

La questione che dev’essere risolta riguarda la diversità di trattamento tra le due categorie di pregiudizi, la quale deve trovare giustificazione alla luce del principio di cui all’art. 3 Cost..

In passato, l’esistenza di un differente regime risarcitorio in ordine ai pregiudizi di carattere non economico veniva fondata sulla diversità di funzioni assolta, nei due casi, dal risarcimento: che per i danni non patrimoniali si riteneva animato da un intento punitivo nei confronti del danneggiante.

Oggi tale lettura sanzionatoria risulta apertamente smentita dagli interpreti e dallo stesso dato normativo, per cui appare necessario individuare una diversa giustificazione per quel che concerne l’adozione di un regime selettivo: con riguardo a pregiudizi che – è bene rammentare – incidono direttamente sulla persona, cui la nostra Carta fondamentale riconosce un’indubbia preminenza rispetto al patrimonio.

E’ chiaro che solo una volta individuato il criterio ragionevole di giustificazione sul quale fondare l’applicazione di un regime selettivo in materia di danno non patrimoniale sarà possibile verificare se esso trovi concreta attuazione tramite un’indicazione volta a limitare il ristoro ai casi di lesione di interessi o valori costituzionalmente protetti.

Un secondo interrogativo riguarda il rapporto che si pone tra una regola che rimanda all’ingiustizia costituzionalmente qualificata e le varie disposizioni di legge (primo fra tutte l’art. 185 cod. pen.) le quali – ricollegando la risarcibilità del danno non patrimoniale alla ricorrenza di talune specifiche figure di illecito – consentono il ristoro dei pregiudizi di ordine non economico scaturenti dalla lesione di qualunque interesse giuridicamente rilevante.

Mentre oggi per questi ultimi pregiudizi appare scontata la tutela, una regola come quella prevista dal primo comma del nuovo art. 2059 c.c. potrebbe essere letta quale fonte di un filtro selettivo avente valenza generale, e quindi applicabile anche nei casi di espressa previsione di legge del ristoro del danno non patrimoniale; ove così non fosse, si porrebbe invece il problema di individuare un criterio ragionevole sulla base del quale giustificare l’ampliamento attuato tramite tali fattispecie rispetto alla regola generale, che determina una differenza di trattamento delle vittime di identici danni non patrimoniali (scaturenti dalla lesione di interessi non aventi rilievo costituzionale) al variare della relativa causa generatrice.

Infine, per quanto riguarda il tenore della norma introdotta dal testo riformato, va anzitutto salutata con favore la scelta di abbandonare qualunque richiamo di quei parametri selettivi, rappresentati dalla gravità della lesione e dalla serietà del pregiudizio, cui le Sezioni Unite del novembre 2008 avevano ritenuto necessario appellarsi per arginare richieste di carattere bagatellare.

Altrettanto meritoria appare la decisione di richiamare l’ampia formula cui avevano fatto riferimento, nel maggio del 2003, le sentenze gemelle della Cassazione, abbandonando la tentazione di restringere il novero degli interessi protetti a livello costituzionale attraverso il riferimento all’inviolabilità.

Resta il fatto che una regola costì tracciata appare indeterminata, visto che la definizione dell’elenco degli interessi costituzionalmente rilevanti non risulta affatto scontata, considerato che le posizioni degli interpreti oscillano in un intervallo assai ampio, tra estremi di carattere fortemente restrittivo e indicazioni assai ampie (propense, ad esempio, a sancire che entro tale novero ricadrebbero pure interessi di carattere patrimoniale, quali il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa economica).

3. Nel nuovo testo dell’art. 2059, il secondo comma stabilisce che “il risarcimento del danno non patrimoniale ha ad oggetto sia la sofferenza morale interiore sia l’alterazione dei precedenti aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto leso“. Ci troviamo finalmente davanti ad una presa di posizione chiara quanto alla definizione di quelle che sono le compromissioni riconducibili sotto la generica etichetta di danno non patrimoniale: le quali sono destinate a manifestarsi nella sfera emozionale interna, in termini di sofferenza interiore, nonché nella dimensione esterna della persona, che vede modificarsi in termini negativi la sua realtà.

Per quanto concerne quest’ultimo profilo, la norma parla di “alterazione dei precedenti aspetti dinamico-relazionali“, utilizzando una formula che solleva numerose perplessità.

Si sceglie, infatti, di utilizzare una locuzione che rimanda all’idea di danno alla vita di relazione, limitando in qualche modo i confini del pregiudizio.

Il ventaglio delle attività realizzatrici della persona appare, in effetti, ben più ampio di quello concernente le relazioni che l’individuo coltiva con gli altri: basti pensare all’attività di studio, di scrittura, di meditazione, e via dicendo.

Il danno, lungo questo versante, andrebbe allora visto secondo una prospettiva più ampia, volta a comprendere la compromissione di tutti i vari modi di espressione della persona nella sfera esistenziale.

L’aggettivo “precedenti”, peraltro, introduce anch’esso un’impropria limitazione, in quanto impedisce di prendere in considerazione quelle attività, non ancora in atto, cui la persona legittimamente aspira (basti citare l’esempio, a tale proposito, della bambina vittima di pedofilia, cui il torto subito impedisca – da adulta – di intrattenere ogni sorta di rapporto sessuale).

4. Gli artt. 2059 bis e 2059 ter individuano il metodo tramite il quale pervenire alla liquidazione del danno non patrimoniale, operando una distinzione tra i pregiudizi derivanti da lesione alla salute e quelli conseguenti alla violazione di altri diritti.

Per entrambe le categorie si rimanda ai criteri di valutazione previsti dalla legge, con la differenza che – per il danno alla salute – ciò non avviene direttamente, ma attraverso il rinvio ad una nuova norma, da inserire all’interno delle disposizioni di attuazione del Codice civile.

L’art. 2059 bis c.c. non perviene – in verità – a definire i criteri di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da lesione alla salute, né direttamente, né indirettamente (tramite quanto stabilito dal nuovo art. 84 bis inserito nelle disposizioni di attuazione del codice civile).

Non vi è alcuna traccia di quei parametri che attualmente risultano menzionati dagli artt. 138 e 139 cod. ass.: secondo cui il valore del punto appare legato in funzione crescente più che proporzionale all’aumento dell’invalidità e decrescente rispetto all’età della vittima.

In buona sostanza, ci si limita a confermare in via normativa l’adozione del sistema delle tabelle (adottando quelle del Tribunale di Milano, cui la S.C. ha riconosciuto vocazione nazionale), senza alcun chiarimento relativo ai criteri in base ai quali le stesse risultano costruite.

Per quanto riguarda la previsione dell’art. 2059 bis, sembra che lo scopo della norma sia quello di tracciare una definizione quanto al danno non patrimoniale alla salute, mirante a evidenziare che sotto tale etichetta confluiscono le due distinte componenti del danno biologico e del danno morale.

La norma non risulta, tuttavia, cristallina da questo punto di vista, dal momento che non appare definita la nozione di danno biologico (diversamente da quanto emerge in seno agli artt. 138 e 139 cod. ass., secondo cui “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito“); ci si limita a stabilire che la sofferenza morale debba venir calcolata in termini percentuali rispetto al valore attribuito allo stesso, lasciando con ciò intendere che tale tipo di ripercussione non risulta compresa entro quel concetto.

Ciò sembra, tuttavia, contraddire quanto previsto a livello tabellare, in quanto il riferimento alle tabelle di Milano implica l’adozione di valori del punto che risultano già comprensivi del valore medio relativo alla sofferenza morale.

5. L’art. 2059 ter fa riferimento alla quantificazione dei danni non patrimoniali discendenti dalla lesione di diritti diversi dalla salute, purché costituzionalmente protetti.

In questa maniera si limita il campo dei pregiudizi potenzialmente soggetti a valutazione, considerata la possibilità che un danno non patrimoniale venga risarcito – nelle fattispecie di espressa previsione normativa – anche ove non discendente da un interesse rilevante a livello costituzionale.

La disposizione rinvia ai criteri di valutazione previsti dalla legge, in assenza dei quali la quantificazione del danno non patrimoniale deve aver luogo mediante valutazione equitativa del giudice.

L’unico caso di tabellazione normativa, in questo ambito, riguarda – al momento – il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale. La proposta di riforma prevede l’adozione delle tabelle attualmente adottate in ambito giurisprudenziale dal tribunale di Milano; le quali non vengono, però, inserite a livello normativo tramite la stessa strada adottata per il danno non patrimoniale alla salute, vale a dire attraverso una norma da introdurre in seno alle disposizioni di attuazione del Codice civile. L’attuale testo dell’art. 3 della proposta non provvede in tal senso, né stabilisce che la norma venga inserita nel Codice civile; ma individua, bensì, una disposizione destinata a rimanere (in maniera non ammissibile) avulsa dal contesto codicistico.

Altro profilo critico riguarda il fatto che la disposizione in parola – parlando di perdita del rapporto parentale – risulta impropriamente limitativa, in quanto il danno non patrimoniale dei congiunti viene attualmente risarcito non soltanto in caso di morte, ma anche nell’ipotesi di lesione del rapporto parentale correlata alle condizioni fortemente menomate del congiunto sopravvissuto.

6. L’art. 84 bis delle disposizioni di attuazione inserisce nel sistema, come già detto, le tabelle di valutazione del danno non patrimoniale da lesione alla salute. Le possibilità di personalizzazione del valore tabellare non sono stabilite da questa norma, ma vanno ricavate dal dettato del secondo comma dell’art. 2059 bis. Quest’ultimo si limita a stabilire l’applicazione di un metodo di calcolo della personalizzazione a carattere percentuale, che non pone alcun tipo di limitazione quantitativa e confina la stessa ai profili di carattere morale, senza nulla dire di quella relativa alle ripercussioni di carattere dinamico- relazionale.

Tale sistema di quantificazione viene esteso al campo dei sinistri stradali (e alla responsabilità sanitaria), attraverso la riforma degli artt. 138 e 139 cod. ass.: norme, è bene ricordare, poste attualmente al centro di un distinto processo di revisione, di tutt’altro segno, nell’ambito del ddl. sulla concorrenza.

All’interno di tali disposizioni, la personalizzazione viene esplicitamente correlata alle condizioni soggettive del danneggiato – includendo, quindi, sia il profilo morale che quello relazionale – e risulta vincolata a un tetto di incremento massimo del 50%. Permangono, in tal modo, significative differenze rispetto al sistema applicato su scala generale.

7. Il testo dell’art. 84 bis prevede, altresì, la quantificazione del danno da morte, attraverso un calcolo di carattere proporzionale (nei termini dell’80%) rispetto al danno non patrimoniale derivante da lesione alla salute.

In maniera implicita viene così riconosciuta la risarcibilità di tale pregiudizio, rovesciando l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario – confermato di recente dalle Sezioni Unite con la sentenza 15350 del 2015 – che esclude la risarcibilità della perdita della vita.

Visto che si tratta di questione assai controversa, sarebbe stato opportuno prevedere una disposizione che si esprima esplicitamente in tal senso, nell’ambito della quale bisognerebbe determinare la configurazione del pregiudizio da risarcire: distinguendo, da un lato, la perdita della vita (che ha luogo in ogni caso di decesso, immediato o meno che sia) e, dall’altro lato, il danno da agonia, che si manifesta nell’eventuale intervallo di sopravvivenza tra lesione e morte. Preme sottolineare che la quantificazione di quest’ultimo appare del tutto autonoma e indipendente rispetto al pregiudizio del primo tipo, per cui lo stesso non si presta ad essere configurato – come invece avviene nel testo della proposta – quale elemento di personalizzazione.

Il Giudice di Pace di Rodi G.co (FG), a differenza di quanto affermato più volte dalla Cassazione, ritiene che occorra chiamare le forze dell’ordine e presentare querela

  • Sinistro stradale causato da ignoti e risarcimento danni
  • Intervento forze dell’ordine e proposizione querela
  • L’orientamento della Corte di Cassazione
  • Un ingiusto ed inutile aggravamento del procedimento

Sinistro stradale causato da ignoti e risarcimento danni

Nella specie, un automobilista adiva l’Ufficio del Giudice di Pace di Rodi G.co per ottenere dalla impresa designata quale Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada il risarcimento dei danni fisici provocati da veicolo non identificato, che, dopo aver provocato il sinistro, proseguiva la marcia senza fermarsi e senza prestare alcuna assistenza.

Anche un pedone, per un diverso sinistro, adiva lo stesso Ufficio in quanto era stato investito da veicolo non identificato.

Intervento forze dell’ordine e proposizione querela

Il Giudice di Pace di Rodi G.co, con sentenze depositate entrambe il 19.10.22, rigettava sia la domanda proposta dall’automobilista sia quella del pedone.

Secondo il giudice non togato non erano state chiamate le forze dell’ordine e non era stata proposta querela.

Il giudice laico, però, non specificava quali sarebbero gli elementi probatori derivanti dall’intervento delle forze dell’ordine e dalla presentazione della querela.

L’orientamento della Corte di Cassazione

In diverse occasioni, la Corte di Cassazione ha affermato che la vittima di un sinistro stradale causato da un veicolo non identificato non ha alcun obbligo, per ottenere il risarcimento da parte dell’impresa designata per conto del Fondo di Garanzia Vittime della Strada, di presentare una denuncia od una querela contro ignoti, la cui sussistenza o meno non è che un mero indizio, dato che l’accertamento da compiere non deve concernere il profilo della diligenza della vittima nel consentire l’individuazione del responsabile, ma esclusivamente la circostanza che il sinistro sia stato effettivamente provocato da un veicolo non identificato (cfr., ex multis, Cass. civ., ord. n. 18097/20).

Un ingiusto ed inutile aggravamento del procedimento

Seguendo il ragionamento del giudice non togato garganico, la vittima di un sinistro stradale causato da ignoti dovrebbe chiamare le forze dell’ordine e sporgere querela prima di richiedere il risarcimento dei danni. Nessuna disposizione di legge prevede l’obbligo dell’intervento delle forze dell’ordine e di sporgere querela.

Dimentica, d’altronde, il giudice di prossimità che nel caso di presentazione di querela contro ignoti al danneggiato viene di solito richiesta attestazione di chiusura delle indagini preliminari.

Trattasi di adempimento che allunga inutilmente i termini. Si aggiunga che la vittima del sinistro è costretta, in tali casi, a rivolgersi ad un legale, con conseguente aumento dei costi.

Guida e cellulare non vanno d’accordo, poichè l’uso del telefonino pone in pericolo la propria e l’altrui incolumità, oltre al rischio di vedersi comminare una sanzione per il proprio comportamento contrario alle norme del Codice della Strada.
L’Istat ha stimato che tra i comportamenti errati più frequenti e sanzionati vi è proprio l’uso del cellulare alla guida, senza utilizzo di supporti come viva voce e auricolari bluetooth: questo provoca anche maggiormente distrazione e aumenta il rischio e la frequenza di incidenti stradali. Nel giro di un quinquennio si sono raggiunte le 5mila multe per uso pericoloso del telefonino alla guida (per approfondimenti: Cellulari alla guida: causano l’80% degli incidenti gravi. In arrivo la stretta).
Ancora, secondo le rilevazioni di Polizia di Stato e Carabinieri, lo smartphone che distrae chi guida, nel 2015  ha causato  48.524 infrazioni al Codice della strada, il 20,9% in più rispetto all’anno precedente; ancora, gli incidenti mortali sono passati dai 1.587 del 2014 a 1.627 nel 2015, il 2,5% provocando 1.752 vittime.
Poichè il fenomeno è in rialzo e non accenna a diminuire, le forze dell’ordine anno ben pensato di reagire con le maniere “forti”, quale il sequestro del bene tecnologico utilizzato durante la marcia, misura già in atto in altri paesi europei come Svizzera e Germania.
Il primo caso di sequestro del cellulare per uso in auto in Italia, invece, si è verificato a Torino pochi giorni fa: la polizia, infatti, è in grado di verificare se al momento del sinistro il trasgressore fosse o meno coinvolto in attività che provocano distrazione alla guida.
Il nucleo di investigazione scientifica della polizia municipale ha provveduto a ritirare e analizzare gli apparecchi tecnologici utilizzati dall’automobilista, al fine di verificare se l’uomo stesse utilizzando il telefono al momento dell’incidente. Basta un’indagine forense degli apparecchi, infatti, a constatare se la persona alla guida fosse “impegnata” a chattare, a parlare al telefono o a scambiarsi dati.
Tuttavia, una simile indagine può realizzarsi solo in caso di reati, come omicidio stradale e lesioni. Per le forze dell’ordine, è importante analizzare l’ambiente tecnologico nel suo complesso: l’uso distorto della tecnologia che provoca vittime e incidenti, quindi, deve coinvolgere anche il navigatore satellitare, la radio, o qualunque apparecchio idoneo a rendere disattento non solo l’automobilista, ma anche il ciclista o chi cammina a piedi o in moto (per approfondimenti: Cellulare in bici? Multa fino a 646 euro!)
Parlare al cellulare mentre si è alla guida, tuttavia, è un comportamento vietato ai sensi dell’art. 173, secondo comma, del Codice della Strada, il quale precisa che “È vietato al conducente di far uso durante la marcia di apparecchi radiotelefonici ovvero di usare cuffie sonore, fatta eccezione per i conducenti dei veicoli delle Forze armate e dei Corpi di cui all’articolo 138, comma 11, e di polizia
È però consentito, prosegue la norma, l’uso di apparecchi a viva voce o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguate capacità uditive ad entrambe le orecchie (che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani).
Chiunque viola tale disposizione è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 160 a euro 646. Inoltre, si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi, qualora lo stesso soggetto compia un’ulteriore violazione nel corso di un biennio.

Avv. Laura Bazzan – Ai sensi dell’art. 186 C.d.S., la guida in stato di ebbrezza conseguente all’uso di bevande alcoliche costituisce condotta vietata (c. 1) e punita con sanzioni di natura amministrativa e penale in relazione al tasso alcolemico accertato nel conducente (c. 2), in ogni caso raddoppiate quando si verifica un sinistro stradale (c. 2 bis). In caso di sinistro, così come in caso di esito positivo dei test preliminari e, in generale, in caso di indici sintomatici dello stato di ebbrezza desumibili dallo stato del soggetto e dalla sua condotta di guida, il tasso alcolemico può essere strumentalmente accertato per mezzo di etilometro (cc. 3-4). Se il conducente in seguito al sinistro viene sottoposto a cure mediche, l’accertamento del tasso alcolemico, su richiesta degli organi di polizia stradale, viene effettuato dalla stessa struttura sanitaria e documentato attraverso certificazione, estesa anche alla prognosi delle lesioni, emessa nel rispetto della riservatezza (c. 5).

 

L’accertamento, in tal caso, viene effettuato per mezzo di un campione ematico prelevato dal conducente.

I presupposti per il prelievo ematico

I presupposti per procedere all’accertamento su prelievo ematico, evidentemente, sono costituiti dal fatto che il conducente sia stato coinvolto in un sinistro e che, in conseguenza di ciò, sia stato sottoposto a cure mediche, di talché la giurisprudenza predominante si è espressa nel senso di ritenere superfluo uno specifico consenso dell’interessato all’accertamento del tasso alcolemico, ulteriore rispetto a quello già manifestato con riferimento alle pratiche sanitarie strumentali allo stesso accertamento (cfr. ex multis, Cass. n. 15329/2016). Di conseguenza, neppure necessario risulta l’avviso di cui all’art. 114 disp. att. c.p.p. per l’assistenza del difensore ex art. 356 c.p.p., che presuppone la previa acquisizione della notitia criminis, e il rifiuto del conducente di sottoporsi all’accertamento assume rilevanza penale soltanto nella misura in cui questi sia stato preventivamente informato della richiesta delle forze dell’ordine di procedere allo stesso accertamento ematochimico nell’ambito di un protocollo medico di cura o di pronto di soccorso. Sul punto, la giurisprudenza si è così espressa “poiché l’acquisizione del risultato dell’accertamento ematico è previsto ex lege, non è affatto necessario, a tutela del diritto di difesa, che l’interessato venga avvertito della facoltà di nomina di un difensore. Il conducente potrebbe, però, opporsi alla sottoposizione alle cure mediche e, quindi, al prelievo di sangue e, sostanzialmente all’accertamento del tasso alcolemico, disposti dai sanitari nell’ambito di applicazione del protocollo di pronto soccorso cui si è fatto riferimento; tuttavia, in tal caso (atteso il collegamento tra il comma 7 ed il comma 5 dell’art. 186 c.d.s.), egli è punito con le pene previste dal comma 2, lett. c) dello stesso articolo, sempre, però, che sia stato informato che, nell’ambito delle cure mediche, era stato richiesto da parte della polizia giudiziaria ai sanitari il prelievo di sangue per l’accertamento del tasso alcolemico” (Cass. n. 6787/2014).

In altre parole, quando il prelievo ematico viene disposto per finalità sanitarie e terapeutiche nel corso del ricovero seguito al sinistro, la questione del consenso informato riguarda esclusivamente il trattamento sanitario, con la conseguenza che il successivo accertamento del tasso alcolemico è legittimo e le sue risultanze utilizzabili (cfr. Cass. 10605/2013). Viceversa, quando il prelievo non venga richiesto nell’ambito di un protocollo medico o di cura di pronto soccorso, bensì su diretta sollecitazione degli organi di polizia giudiziaria con l’esclusiva finalità di accertare la sussistenza del reato di guida in stato di ebbrezza, l’interessato deve essere avvertito della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, l’assenza di consenso dell’interessato all’accertamento comporta l’inutilizzabilità delle risultanze in sede processuale per violazione del diritto, costituzionalmente garantito, dell’inviolabilità della persona e lo stesso rifiuto del conducente di sottoporsi agli esami del sangue non integra una condotta penalmente rilevante (cfr. ex multis, Cass. n. 1546/2016, Cass. n. 5978/2015 e Cass. n. 10136/2014).

L’esame ematico alla luce della nuova legge sull’omicidio stradale

In seguito all’introduzione delle nuove fattispecie penali di omicidio e lesioni colpose stradali, rispettivamente disciplinate agli artt. 589 bis e 590 bis c.p., sono stati rilevati alcuni profili di criticità di natura interpretativa e di coordinamento con la disciplina del codice stradale. In particolare, poiché lo stato di alterazione derivante da abuso di alcol costituisce circostanza aggravante speciale ad effetto speciale per i nuovi reati stradali, si pone il problema dell’accertamento dello stato alcolemico in caso di rifiuto del conducente. Sul punto, diverse procure hanno ritenuto opportuno emanare delle linee guida per l’applicazione della L. 23 marzo 2016 n. 41 in materia di omicidio stradale e lesioni stradali, fornendo le prime disposizioni operative alla Polizia Giudiziaria.

Con preciso riferimento alla possibilità di procedere coattivamente al prelievo di sangue per accertare il tasso di alcool al di fuori delle necessità mediche, ad esempio, la Procura di Trento esclude che il combinato disposto degli artt. 224 bis e 369 bis c.p.p. possa legittimare tale procedura, ritenendo tassativo l’elenco normativo delle modalità con cui è possibile procedere al prelievo coattivo. Più precisamente, secondo un’interpretazione rigorosa e restrittiva, per la Procura di Trento “il prelievo ematico, quindi, non potrebbe essere imposto coattivamente per via giudiziaria, anche se, indubitabilmente, potrebbe essere utilizzato per dimostrare lo stato di alterazione il certificato medico relativo all’accertato tasso di alcool e/o alla presenza di tracce di stupefacenti nel sangue dell’interessato, se e qualora l’analisi del sangue sia stata effettuata dal personale ospedaliero, non a richiesta specifica degli agenti di polizia stradale, ma unicamente per motivi clinici ed a scopo curativo delle lesioni riportate dal predetto nell’ incidente stradale in cui questi sia stato coinvolto“.

Di contrario avviso la Procura di Udine, secondo la quale il prelievo ematico coattivo deve considerarsi compatibile con l’art. 224-bis c.p.p. in quanto operazione che, salvo casi assolutamente eccezionali, provoca una sofferenza di lieve entità. Precisa inoltre la procura friulana che la condotta dell’autore dell’omicidio stradale o lesioni stradali, che rifiuta di sottoporsi agli accertamenti dello stato d’ebbrezza alcolica, integra il reato di cui all’art. 186 c. 7 C.d.S. e se, all’esito della procedura coattiva, lo stato di ebbrezza viene effettivamente accertato sussiste anche il reato di cui all’art. 186 c. 2 lett. b) o c) C.d.S. oltre al reato di cui agli artt. 589 bis o 590 bis c.p. Nel caso particolare in cui il conducente da sottoporre ad esame ematico sia incosciente e il prelievo non si collochi all’interno di un protocollo medico-terapeutico, la stessa Procura ritiene possa “farsi applicazione analogica dell’art. 359 bis c. 3 c.p.p., nel rilievo che l’impossibilità di esprimere un valido consenso sia equivalente al rifiuto. Infatti si prospetta comunque l’esigenza di garantire l’immediata esecuzione degli accertamenti, sotto pena in difetto della loro inutilità. Pertanto il pubblico ministero dovrà adottare, anche oralmente, il decreto menzionato nella norma ora citata e dovrà in seguito confermarlo per iscritto e richiederne la convalida al giudice per le indagini preliminari, mentre la polizia giudiziaria dovrà dare immediata notizia delle operazioni al difensore dell’interessato (di fiducia od in mancanza d’ufficio), il quale ha facoltà di assistervi senza che ciò possa comportare pregiudizio alle operazioni“. La medesima impostazione è stata seguita dalle procure di BergamoMacerataFirenzeSondrio e, da ultimo, anche Genova e Torino.

Fonte: Il sinistro stradale e l’esame ematico
(www.StudioCataldi.it)